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Women in STEM is the new black

“Le donne che ce l’hanno fatta sono quelle che hanno lottato in primis contro il pregiudizio loro e quello degli altri". Riccardo Pimpini

Sono cresciuta con il terrore della matematica – come molti di noi. O meglio: molte.

In realtà, il più delle volte prendevo voti più che sufficienti, ma ricordo bene la volta in cui mi sono beccata un 4, e la prof, che credeva in me, mi ha rimproverata sottolineando che ero io, che in me non ci credevo abbastanza.

E aveva ragione: una parte di me si era convinta che non potevo andare bene in matematica. Vivevo con questo spauracchio della matematica, e tendevo a giocare al ribasso, vuoi per evitare di risultare una “secchiona” pure lì, vuoi per adattarmi al pensiero comune che la matematica, è una materia ostica, quasi impossibile da affrontare.

L’11 febbraio 2021 è la Giornata internazionale delle donne nella scienza. Già il fatto che ci sia una giornata dedicata a questo, mi fa strano – come a sottolineare che le donne, solitamente nella scienza non ci stanno.

Ne parlo con Riccardo Pimpini, autore per Biocaffeina di The Sound of Science, che nella rubrica racconta, in podcast di 8-10 minuti, la storia di uomini e donne che hanno fatto la differenza nel mondo della scienza e tecnologia. E che, in risposta alle mie sollecitazioni, solleva un punto importante: “nuove scoperte e ricerche svolte da donne di grande capacità sono all’ordine del giorno nella scienza, e un’enfasi sulla differenza di genere esiste, secondo me, solo all’esterno del mondo scientifico e tecnologico”.

Come a dire che, quest’enfasi delle donne nella scienza, dipende un po’ da chi la osserva: “tra scienziati ed esperti le differenze di genere non esistono o, almeno, non sono così marcate come vengono mostrate al ‘grande pubblico’. Lavori scientifici e tecnologici vengono letti e studiati e condivisi all’interno della ricerca allo stesso modo, siano essi al maschile che al femminile. Qui infatti prevalgono le ragioni metodologiche, matematiche e scientifiche a validare la qualità del lavoro, e non il genere di chi lo ha svolto”, spiega Riccardo.

Riflessione preziosissima: la ricerca per il bene della ricerca, senza concentrarsi su chi fa cosa, senza lo zampino dei media, che, secondo Riccardo, “puntano più alle visualizzazioni e alle vendite di una scoperta scientifica, che alla sua qualità. Evidentemente, secondo i media le notizie al femminile fanno più visualizzazioni rispetto a quelle al maschile.”

E le donne, nel mentre? “Credo talvolta sia anche un problema di sottovalutazione delle capacità scientifiche e tecnologiche da parte delle donne stesse”, osserva Riccardo. “Le donne tendono a scegliere, a prescindere, materie non scientifiche; ma non perché non ne siano capaci, piuttosto perché per prime si sottovalutano o temono un mondo a misura d’uomo”. Riccardo è convinto che “se vogliamo davvero che le donne abbiano ciò che meritano, bisogna superare i pregiudizi esistenti, a partire da quelli che hanno le donne stesse”.

Riccardo per primo, nel suo lavoro di docente di informatica, molte volte si sente dire: “non sono capace”, oppure “eh, ma tu sei un uomo, sei più portato” dalle donne a cui insegna. Secondo Riccardo, “è lì che bisogna lavorare, far capire a queste donne che ce la possono e devono fare, insegnare a superare le paure e ad affrontare il pregiudizio – presente negli altri, o in loro stesse – dimostrando il proprio valore”.

Le parole di Riccardo trovano conferma in quelle di una donna che oggi si trova in prima fila nel portare avanti l’eguaglianza di genere nel settore accademico: Antonella Polimeni, eletta nel settembre 2020 rettrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, sostiene che “bisogna allenare nelle ragazze l’autostima e la consapevolezza delle proprie capacità, sin da giovani”.

Dello stesso parere è Paola Mascaro, presidente di Valore D, associazione di imprese a sostegno dell’equilibrio di genere, secondo la quale, innanzitutto occorre “alzare la voce”, perché “l’opinione pubblica è importante”. Ed aggiunge che “le più giovani devono imparare a ragionare sulle scelte di studio, evitare quelle basate su stereotipi.” 

Un modo insolito per farlo, lo ha proposto Rachel Beattie, formazione in matematica e carriera nella moda femminile, che crede nel potere di unire scienza ed arte. Rachel ha creato una serie di flashcard con immagini dipinte ad acquerello di donne che hanno avuto successo nelle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). L’obiettivo è quello di distribuire le flaschard nelle scuole primarie americane, per diffondere le storie di queste donne-modello, contribuendo a rafforzare l’autostima e convinzione nelle bambine, di poter intraprendere una carriera simile.

E non a caso, il legame tra discipline scientifiche e umanistiche sta diventando sempre più forte: di recente l’acronimo STEM ha acquisito la A di Arts, tanto che oggi si parla di STEAM. Per Arts si intendono le scienze umane e sociali come la linguistica, la psicologia cognitiva, le neuroscienze, e così via.

Quando parlo del progetto di Rachel Beattie a Riccardo, la sua reazione è illuminante: “diffondere la scienza tramite l’arte, o l’arte tramite la scienza?”, e mi spalanca nuove riflessioni… quasi a ricordarmi (ancora una volta – e per fortuna!) che la prospettiva verso le cose, nella vita, non è mai una sola.

Vuoi condividere un tuo pensiero su questo tema? Puoi farlo nei commenti qui sotto 🙂

Le parole di Antonella Polimeni e Paola Mascaro sono tratte da interviste apparse su Elle.

La rubrica di Riccardo Pimpini, invece, la trovi qui: 

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