Quel che resta nel tempo, la poesia
La poesia è rifugio e tempesta - Emanuele Martinuzzi

Verusca Costenaro
Le cose cambiano – ma la poesia rimane.
Potrà sembrare un po’ scontato, ma, in questi tempi un po’ particolari, fa piacere ritrovare una ricorrenza che sa di buono, di primavera in sboccio (il 21 marzo, esattamente!), di cose che riprendono e rinascono: la Giornata Mondiale della Poesia, il 21 marzo 2021. E anche quest’anno, Biocaffeina ospita un poeta, a conversare di poesia – e tutto quel che ci sta intorno.
Come un anno fa, ci ritroviamo con diminuite possibilità di abbracci umani, e ci consoliamo con quello, seppur simbolico, ma estremamente nutriente, della poesia. La poesia, una voce che rimane, nonostante il caos attorno, come svelano le parole del poeta che ci fa compagnia, Emanuele Martinuzzi: “ho sempre avuto l’idea che il senso della poesia, in ogni epoca, sia quello di ricercarne il senso. Scrivere non è un sigillo delle nostre certezze, ma uno sguardo sull’abisso della nostra anima”.
Emanuele, che l’anima la indaga, con la poesia, da quando aveva 12 anni, ci ricorda, tra le altre cose, che “non sono sempre i periodi meno complicati o tormentati a produrre la più autentica e profonda poesia. Sicuramente, però, la novitas di questa angoscia, un certo senso di decadenza che si respira a volte, o di sentimenti artificiali e disumani con cui dobbiamo convivere sempre più da vicino, rende la poesia o l’essere poetico delle cose in una dimensione anni luce rispetto al presente. Nonostante questo, la ricerca non si ferma, e la poesia non è morta, e anche lo fosse, come una fenice risorgerà dalle sue ceneri. Così mi piace pensarla, almeno.”
Poesia, secondo Emanuele, “è ovunque potenzialmente, quando il tuo animo è ricettivo e pronto puoi tradurre e distillare la più fine poesia dai più turpi momenti dell’esistenza. È la propensione interiore ad aprirsi alla creatività e al mistero che permette di scorgere la poesia dove essa è da sempre, ossia ovunque. Porsi in attesa di questa possibilità col proprio essere. Non c’è altro da fare credo. La poesia se deve arrivare, arriverà.”
Ed il poeta, a cui arriva la poesia, se deve arrivare, ovunque, chi è, esattamente?
“Il poeta è nessuno”, mi risponde Emanuele con una provocazione, “e lo dico non con la volontà di sminuirne il valore, anzi di renderne più complesso e misterioso il significato. Il poeta può essere beat o pop, un dandy o un bohemian, un dotto manierista o un visionario naif, un post-modernista sperimentale o un neoclassico del verso. Può essere uno o centomila, quindi nessuno. L’essenza, quindi, di questo essere nessuno, che vaga in ogni epoca alla ricerca del suo verso e della sua identità, è però il farsi attraversare dalla poesia, la sua autentica relazione col poetare e col linguaggio. Il poeta è nessuno, la poesia il suo tutto.”
E in questa relazione del poeta col poetare, per Emanuele “il linguaggio è la pelle della poesia, la superficie che possiamo vedere e toccare, che ci rimanda le emozioni e i brividi inscritti nei suoi contenuti, nell’animo delle parole”.
Emanuele ci porta dentro le metafore: “il suono dei suoi segni è la melodia che riesce a pizzicare le corde dell’animo di chi ascolta una poesia. La struttura è l’architettura di questo edificio in cui si perde il nostro sguardo, in cui abitano i riflessi sottili della nostra sensibilità. Le immagini e i simboli, che nascono da questa commistione di mondi distanti ma vicini, sono la narrazione silenziosa di una storia che ci parla di universi antichi e futuri inesplorati.”
Questi universi antichi e futuri inesplorati, nei versi di Emanuele si rispecchiano spesso con “la natura o meglio il macrocosmo, l’interiorità umana o anche del microcosmo.” Emanuele ci confida che in particolare “la natura mi suggestiona, emoziona e meraviglia, e così questo sentire si rispecchia nella mia scrittura. L’interiorità a sua volta trasfigura in modo espressionistico l’ambiente, i suoi colori e le sue forme.”
In chiusura, Emanuele ci dona una sua poesia inedita, Perla. Spiega che “verrà inserita in una raccolta di prossima pubblicazione, che parla di un amore e di una città ideale, impossibile, in cui le dimensioni del sogno e dell’incubo coesistono.”
Perla
Se non fosse per l’architettura assente
di queste stelle, giunte al buio come questue
di nubi, non ci saremmo eclissati, nuda
preghiera che brucia, l’uno nell’altro.
Se non fosse per i nomi di queste pietre,
martiri che brancolano nei nostri sguardi
come aridi gorghi, non saremmo
letto di fiume, l’uno per l’altro.
Radici di vuote mani il tetto che ci custodisce,
polvere il simulacro del nostro viaggiare,
calice rotto il ventre, l’ebbrezza del nostro riposo
insonne e morente.
Quello che cerchiamo è il calore di perdersi,
una parola in rovina che annaspi nel sentimento,
ira e fuga, mosaico di labbra, aurora
dipinta con ciò che scolora.
Copyright © Emanuele Martinuzzi
…
Emanuele Martinuzzi, lo trovi qui:
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