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Ditelo con i piedi

Haiku del mese

Cammini come chi non ha nulla da possedere,

se non il viaggio,

se non gli sguardi.

Da Sofia ha gli occhi

Io sono molto interessata alle città – perché le vivo da sempre dal basso, con i piedi, come pedone.

Sono cresciuta in una cittadina veneta, Marostica, che si gira facilmente a piedi. Ho vissuto per 24 anni in una casa sopra i portici del centro storico, da cui potevo raggiungere qualsiasi servizio camminando massimo 15 minuti – comprese scuole elementari e medie. Ho preso la patente con calma, a 20 anni, soprattutto per non dipendere più dai passaggi in auto degli altri, e poter raggiungere da sola Bassano del Grappa, a otto chilometri da casa. Otto chilometri che però volevano dire le mie amiche più care, cinema, teatro, parchi, librerie, negozi, locali interessanti. L’auto era il mezzo per raggiungere la mia città dei desideri, poi una volta arrivata, Bassano me la vivevo tutta con i piedi.

Da bambina e da adolescente, dunque, il mondo che avevo attorno a me l’ho scoperto con i piedi. Per non parlare del fatto che a 24 anni, mi sono trasferita a Venezia – città dei piedi per eccellenza – camminandola per 10 anni (e imparando l’importanza di una buona scarpa!).

I miei piedi – mezzo che continuo a utilizzare, anche oggi che di anni ne compio 47.

Oltre 40 anni che faccio esplorazioni a piedi.

Credo di essere una delle poche persone che ha girato una città come Dallas con i piedi, perfino dove non esistevano marciapiedi, con le auto che mi sfrecciavano accanto incuriosite dalla mia figura in cammino. Una sera un amico mi fa: “Ma che ci facevi oggi pomeriggio lungo quella via trafficata? Stavo guidando e ti ho vista che camminavi”. Io stavo semplicemente andando a farmi una passeggiata esplorativa nei dintorni.

Da molti anni ho deciso di non guidare più. Un po’ per fattori esterni – 10 anni di vita vissuta a Venezia centro storico, dove il concetto di auto sparisce, e tu ti dimentichi quasi come si fa a guidarla. O ti dimentichi dell’auto e basta, come una amore vissuto a fondo ed esaurito piano piano. Un po’ per scelta mia: di vivere in centro, comoda ai servizi, ai negozi, ai luoghi della cultura, della socialità. Per cui ho scelto di vivere da pedone che si sposta a piedi, o usufruisce di autobus, tramvia, metropolitana, pullman, treno. La bici non fa per ora parte della mia quotidianità.

Di conseguenza, ogni trasformazione che subisce la città, ogni tentativo di innovazione o miglioria, ogni sperimentazione urbana e logistica, mi interessa parecchio: perché avrà conseguenze dirette importanti sulla mia vita di cittadina che attraversa la città più volte al giorno a piedi.

Io non so tante cose – nella mia vita. Ma una cosa che so, per certo, è che almeno per i prossimi anni, voglio vivere in città. Sono attratta dal concetto di “città allargata”, la cosiddetta Città Metropolitana. Firenze lo è. Anche Milano. E a Milano, in questo periodo (o sempre?) è dove capitano le cose nuove (città complessa: Guido Piovene diceva che “Per capire Milano, bisogna tuffarvisi dentro. Tuffarvisi, non guardarla come un’opera d’arte”). Perciò, volendo vivere in città, senza’auto e con i piedi, mi interessano molto i discorsi sui cambiamenti che stanno subendo, le città, proprio ora, sotto la spinta, per esempio, del concetto di “smart city”.

Cosa può esserci di smart, in una città?

Beh, tante cose.

Smart può essere, prendendo a prestito il pensiero dell’ingegnere civile Marco Pompilio su Milano, la Città Metropolitana pianificata secondo equità. Il che vuol dire, tra le altre cose, potersi muovere a piedi o in bici o coi mezzi, agevolmente e in tempi brevi, per raggiungere i servizi che servono; poter usufruire facilmente di risorse ed opportunità sia nel centro di Milano che a Cisinello Balsamo, sia nel centro di Firenze che a Barberino Tavernelle (che poi lo sapevi, che i comuni della Città metropolitana di Milano sono 133? Firenze ne ha 41).

Smart city vuol dire un buon piano ambientale, che (oltre a occuparsi di risorse idriche, impianti rifiuti, eventuali bonifiche, la qualità dell’aria, cose così), preveda di “ricomporre paesaggisticamente il territorio non urbanizzato secondo una visione unitaria e organica di obiettivi di rinaturalizzazione, fruizione paesaggistica, tutela degli elementi e delle zone di pregio della cultura rurale, e mantenimento delle funzioni agricole insediate”(citando sempre Marco Pompilio).

Dunque ben vengano percorsi ciclopedonali, polmoni verdi dentro la città e nelle periferie, zone pedonali dove il pedone può camminare al sicuro, con comodità, lontano dalle auto e dal traffico, e respirare aria buona come se fosse in montagna (beh, più o meno!).

“Una città metropolitana, in cui non ci siano grandi differenze tra chi vive in periferia e chi in centro, crea un impatto sociale fortissimo”, sottolinea Marco Pompilio all’interno della rassegna Milano Digital Week. Penso al disagio che invece spesso nasce in (molta) periferia: penso ai luoghi della cultura e della socializzazione che scarseggiano. Penso che io personalmente, non ci vivo, per ora, in periferia, perché mi sentirei una cittadina-pedone un po’ abbandonata e trascurata.

Ma le cose cambiano – possono cambiare (ce lo insegna la vita, specie quella presente). Abbiamo il diritto alla città – sostiene Michela Barzi, che si occupa di pianificazione territoriale ed urbanistica. Una città che non è solo di chi ci abita, ma di chi tutti i giorni la attraversa per lavorare, studiare, usufruire dei servizi sanitari, di ciò che manca in periferia. E allora, quel che manca, portiamolo ANCHE in periferia (non è forse questo, uno degli obiettivi della Città Metropolitana?).

Io mi auguro tutto questo – il giorno del mio compleanno 2021 che passerò a piedi – che le città sappiano adeguarsi al più presto ai bisogni di questi (nuovi) tempi, e rendere la vita più piacevole e semplice non solo ai pedoni, ma a tutte quelle persone che le città le sperimentano sulla pelle – e i piedi!! –, chi per un giorno di striscio, chi per una vita intera.

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