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Le mie simpatiche assurdità

La storia di Julia

Gli australopitechi.

Non è che si chiamano così perché vivono in delle teche, o han dovuto mettere ipoteche sulle loro proprietà nell’emisfero australe. Almeno, non credo. Oddio.

Sul davanzale della mia finestra, in sala, accanto ai cactus mezzi morti perché – di solito, adesso in realtà non avrei scuse – non ci sono mai, c’è uno wombat. Cioè, non uno wombat in carne ed ossa e simpaticissimi dentini, ma la cartolina di uno wombat, cioè non è che uno wombat ha lasciato una cartolina a casa mia sul davanzale della finestra, che poi, perché si chiami davanzale, boh. Davanti, sì, sarà davanti. A volte ci appoggi gli avanzi, pure, se ci pensi.

Comunque quella cartolina, ovviamente raffigurante uno wombat, è una delle tante assurdità che si possono trovare a casa mia.

Assurdità simpatiche però, pure interessanti, direi.

E lui, lui in particolare, ha quel filino sottile d’erba che gli sporge da fra i dentini che mi risveglia una tenerezza, ma una tenerezza… Quella tenerezza che tu non mi hai voluto più dare.

No.

Allora guardo il ginkgo biloba, penso a mia nonna, alle patatine Virtual scadute da poco, ma scadute, che ci regalavano, quando ero piccola, all’alimentari del paese, per darle ai polli.

Ma quali polli, me le mangiavo io quelle. E quanto mi piacevano. Soprattutto perché non avrei potuto.

Tra una lotta agli scorpioni sotto i vasi e una scorribanda giù per lo “stradone”.

Che poi, ora che sono grande, vedo che neanche una 4×4 ci passerebbe, tanto è piccolo e stretto. Arrivavo, percorrendolo fino alla fine, sulla strada principale, a tipo trecento metri da quello che poi sarebbe diventato un terribile ecomostro di fabbrica farmaceutica vomita vaccini che probabilmente mi avvelena pure gli ortaggi del mio orto. 

Ah, comunque, ci arrivavo, là vicino a dove al tempo c’era solo una piccola fabbrichetta, e facevo l’autostop. Sollevavo pure la gonnellina un po’ e facevo l’occhiolino, come avevo visto fare nei film. Almeno, così ricordo. Avevo quattro o cinque anni.

Mi è sempre piaciuto il fascino dell’avventura, dell’altro, dell’ignoto. A cinque anni già sapevo come si facevano i bambini e che Babbo Natale non esiste. A sette che le signorine che ‘prendevano il sole’ incrociate durante le gite domenicali con la nonna erano prostitute.

Spiegaglielo, a quelli lì, i miei. Gioia e dolore. Tenerezza e rabbia. Esserci, non esserci. Più che altro, non esserci. Ma io, io, eccomi qui.

Julia Markettovic (nome d’arte), laureata in russo e portoghese e amante sfrenata di viaggi in terre lontane e lingue straniere, si occupa principalmente di danza classica indiana e di vivere la sua vita il più possibile come un lungo sogno.

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