Quanto dolce sei?
Il dolce non va nello stomaco, il dolce arriva dritto al cuore. - proverbio francese
Verusca Costenaro
Sono una assaggiatrice seriale di dolci. Sia quelli che preparo io, che quelli artigianali dei panifici e delle pasticcerie.
Preparare torte fa parte di me da quando ero pre-adolescente. Quando vivevo a Marostica con i miei, ho iniziato con i famosi preparati per torte, dove l’impasto era già pronto, bastava aggiungerci un po’ di latte et voilà, la torta era semplicemente da infornare. Minimo sforzo, massimo risultato, per il mio giovane palato: torte margherita e torte al cioccolato soffici e golose, da affondare nel caffellatte a colazione o addentare con piacere a merenda.
In particolare, durante le scuole medie ho scoperto una torta millefoglie che ho poi preparato per anni, contribuendo a donare piacere a chiunque la assaggiasse. E questo grazie alla scuola: il prof. di tecnologia ci aveva richiesto, come compito per casa, di preparare qualcosa di dolce con le nostre mani, e portarlo a scuola. Dovendo preparare un dolce per l’intera classe, per agevolarmi il compito ho optato per uno dei soliti impasti per torte, una millefoglie a strati dalla crema golosissima. Ne ho preparate parecchie, per soddisfare l’intera classe. Non solo in classe ha avuto un successo strepitoso, ma a casa hanno preso a richiederla in continuazione. Era la mia specialità – beh, guidata, diciamo. Così come mi veniva richiesta spessissimo in famiglia una torta fredda al cocco e cioccolato – stavolta preparata da me da cima a fondo. Un impasto di biscotti secchi sbriciolati mescolati a cocco in scaglie, burro e un goccio di rum, lasciato solidificare in frigo, e ricoperto poi con una bella colata di cioccolato fondente fuso. Torta da far girare la testa in famiglia! Altro pezzo a grande richiesta era il salame al cioccolato, stavolta a opera della mamma: ce ne concedeva una fettina alla volta, l’attesa di assaggiarlo appena pronto era spasmodica, il primo morso un piacere indescrivibile nel palato. Mia mamma è stata un modello di pasticcera, per me.
I miei primi muffin me li ricordo bene: non mi sono riusciti. All’epoca mi ero appena trasferita a Padova, in una casa di cui non conoscevo ancora bene il forno, e avevo sbagliato i tempi di cottura. Muffin immangiabili. Ricordo il senso di frustrazione, ma anche il desiderio di riprovare, che mi ha portata a individuare, piano piano, la base perfetta per l’impasto, da cui partire per preparare muffin con ingredienti di tutti i tipi, compresa frutta di stagione. Possiedo lo stesso stampo per muffin da oltre 15 anni, e l’ho portato con me in valigia anche negli Stati Uniti, a Dallas, dove ho preparato muffin a tutto spiano per i miei amici e le mie amiche, per 10 mesi di fila, in un fornellino prestatomi da una amica italiana che viveva lì da anni – stupendo con dolcezza chi li riceveva.
I miei primi biscotti invece sono nati da poco, con il COVID: a forza di stare da sola in casa, mi sono data alla sperimentazione di biscotti di ogni tipo: con farina di riso, integrale, al cocco, con la marmellata, con le gocce di cioccolato, con farina d’avena e datteri. Avevo un pre-giudizio: pensavo che fare i biscotti in casa fosse difficilissimo! Invece, si sono rivelati non solo semplici da preparare, ma anche veloci da cuocere. A volte quando mi sveglio presto la mattina, mi metto a impastare e creare, a seconda dell’estro, e dopo 15 minuti mi sto gustando un mio biscotto a colazione. Ma quant’è bello??
Preparare dolci mi rilassa. Non solo: mi stimola il pensiero creativo e dunque placa la mia urgenza espressiva. Mi trascina fuori dalla mente, dai pensieri, e dentro il corpo, dentro le mani che afferrano girano impastano. Mi riporta nella dimensione presente, è la mia mindfulness, l’assenza di preoccupazioni e paure, il mio qui e ora salvifico e terapeutico, al di là di ogni vicissitudine della vita. Mi viene bene, fare i dolci? Non lo so e non mi interessa davvero. Ne esce quasi sempre qualcosa di edibile e piacevole, ma il punto non è quello: il punto è come mi sento quando li preparo. E io mi sento bene.
Fare dolci è un gesto d’amore. Amore verso di sé, quando si prepara qualcosa di dolce per sé, e amore verso gli altri, quando lo si condivide. Quando sforno, spesso regalo: porto muffin ad amici e amiche, come segno di dolcezza. Il mio grazie per loro, per esserci, per far parte della mia vita. Chi riceve un muffin da me, sa che probabilmente sarà per sempre. Regalo muffin a chi sento vicino a me, simile a me. Quando si crea una qualche connessione, un allineamento, io lo comunico con un muffin.
Di recente, ho cercato di mettere più attenzione negli ingredienti che uso. Per esempio, a volte impasto con farine senza glutine, e dopo essermi gustata il risultato, che sia una fetta di torta o un muffin o un biscotto, avverto “quella certa leggerezza” nello stomaco che mi fa sentire molto meglio che non dopo la farina bianca. Ho iniziato anche a impastare senza zucchero raffinato, con soli zuccheri della frutta (biscotti ai datteri e fiocchi di avena, deliziosi!) o miele. Ci sono poi le mie sperimentazioni più recenti in stile vegano, dove elimino latte di mucca, uova e burro, e aggiungo olio di semi e latte vegetale di vario tipo: banana bread al cioccolato e biscotti vegani non hanno nulla da invidiare ai loro corrispondenti con uova latte e burro! Mi piace sperimentare nuove ricette che non mi tolgano il senso di piacere che mi dà un dolce, ma pongano una certa attenzione a quello che metto dentro di me. In questo modo, preparare dolci diventa un gioco in cui creare qualcosa di sano e nuovo in continuazione. Una gioia per la mente, oltre che per il corpo!
Fare dolci, è casa. La mia casina portatile, le radici che porto sempre con me, di viaggio in viaggio, di trasloco in trasloco, di casa in casa. Casa sono le mie mani pronte a impastare e mescolare, il mio stampo per muffin, lo stampo per torte, la mia frusta a mano. Fare dolci è un gesto che posso portare con me, ovunque io sia, ovunque io mi trovi a vivere. Ho cambiato oltre 16 case, negli ultimi 16 anni, ma i miei attrezzi per dolci sono sempre venuti via con me.
Fare dolci è parte della mia identità. Ho un’urgenza di dolcezza, nella vita – sia materiale che simbolica. Di crearla, di circondarmene. Non so esattamente perché, so che è così, amo preparare cose dolci, così come amo leggere e scrivere. Così come sono alta e porto gli occhiali.
Voglio vivermi una vita dolce – con le dovute attenzioni! Come diceva con spirito saggio Maria Antonietta stessa: “La vita è troppo corta, mangia prima il dessert!”
E tu, quanto dolce sei? Raccontamelo in un commento qui sotto!
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