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Pensavo fosse amore, invece era Milano

Questo mese, agosto 2023, festeggio il mio primo anno di vita a Milano.

Lo festeggio a Venezia.

A volte mi scordo di avere delle radici “vere” – oltre a quelle che mi porto dentro, nei miei spostamenti di vita da città in città. Ora che sono a Venezia da qualche settimana, mi ci ritrovo tutta dentro.

Le mie “vere” radici risalgono dalla profondità della laguna veneziana.

Ho vissuto a Venezia negli anni che considero “fondativi” per me: dai 24 ai 34 anni, dal 1998 al 2008. Quella che considero “casa”, unica e vera, è Venezia.

All’epoca, ero così entusiasta di viverci, di scoprirla e percorrerla ogni giorno in lungo e largo, con la mia bella mappa gigante di carta per non perdermi (poi ho imparato a lasciarla a casa, la mappa, proprio per “imparare a perdermi” tra le calli e i campielli) che ogni volta che ero fuori Venezia, all’estero o altrove in Italia, e conoscevo qualcuno che mi chiedeva “Di dove sei?”, la mia risposta era unica e sicura: “Di Venezia. Sono veneziana”. Anche se Marostica – la mia cittadina d’origine – non è esattamente Venezia. Ma prova tu a dire a un inglese “I come from Marostica” e poi aggiungici “not far from Venice” e la reazione cambia: “Oh I know Venice, how beautiful!!”. Così, per andare al risparmio, ho imparato a dire direttamente “I come from Venice”. Anche se la verità, è che io, “dentro”, mi sentivo (sento?) profondamente veneziana.

Che poi Venezia è il mondo. Un miscuglio di culture, lingue, abitudini.

Anche la “mia” Milano di adesso, è il mondo. Quella che ho scelto di vivere, da 1 anno, è fatta di diverse culture, lingue, abitudini. È fatta di P., che ha lasciato il Senegal oltre 40 anni fa, e ogni volta che torna a Dakar, non vede l’ora di rientrare a Milano perché gli manca troppo. La “mia” Milano è fatta di S., che 16 anni fa ha lasciato la Slovacchia per studio, si è innamorata di un milanese, e in Slovacchia non ci è più tornata. O J., approdata dalla Cina a Milano, che ora vive un po’ nella città meneghina, un po’ a Lisbona. La “mia” Milano è fatta dei ristoranti peruviani e arabi di Via Padova. Degli alunni da tutto il mondo della scuola media in cui ho insegnato: Ecuador, Cina, Egitto, Perù, Spagna, Albania – compresi gli italiani non meneghini di origine: Campania, Sicilia, Puglia.

Milano è un fritto misto – credo di amarla (averla scelta?) anche per questo.

1 anno a Milano mi ha fatto “sentire” la città a 360⁰. L’ho camminata tanto, in ogni direzione. Ho preso metro e bus e tram solo per raggiungere un posto dal nome che mi ispirava, e perlustrarlo. Ho conosciuto gente (il più delle volte, molto interessante) dentro bar, sorseggiando un caffè, ma soprattutto dentro librerie – luoghi dell’incontro per eccellenza, per un’amante dei libri come me. Ho assaggiato piatti tipici, locali, e altri internazionali. Ho sperimentato il famoso brunch – che per anni per me è stato qualcosa di indefinito che sentivo nominare da lontano.

A Milano, mi sono s-provincializzata un po’ di più – per quanto Milano resti fatta soprattutto di quartieri, di vie, vissute a fondo, fino a farsi (ri)conoscere dai commessi delle botteghe. Fino a incrociare conoscenti per strada.

1 anno vissuto intensamente, cercando di conciliare il lavoro per sopravvivere, con il lavoro che sto provando a sviluppare – che fa parte del progetto, professionale, che mi ha portata a Milano, in primis.

Milano, sei affascinante, elettrizzante, conturbante, emozionante, adrenalinica, spumeggiante, e terribilmente costosa, faticosa, stancante, grigizzante (il cielo grigio di Milano, da gennaio in poi, se non prima, non lo auguro a nessuno – anche se poi, a detta dei miei amici milanesi, ci fai l’abitudine e non lo vedi più). La Milano-grigia la devi contrastare con i “colori-dentro”. Sviluppare un mondo parallelo in cui (soprav)vivere, nei lunghi giorni grigi privi di azzurro e sole. Un mondo in cui rifugiarti nei colori e nella luce della lettura, della scrittura, della socialità.

Dopo 1 anno, posso dire che Milano è per pochi – prezzi alle stelle, in ogni aspetto della vita. Milano ce la si deve permettere, e anche quando si hanno i mezzi, Milano rimane una scelta, perché scegli, consapevolmente, di spendere gran parte delle tue entrate anche solo per vivere in maniera decente.

Nel romanzo Il libraio di Venezia di Giovanni Montanaro, il protagonista difende Venezia da chi si lamenta che “la città non c’è più”. “Ma dov’è che vivrebbe meglio?” chiede il libraio all’amico che si lamenta. La risposta è Londra. “…c’è un altro spirito. C’è il futuro”.

È la stessa riflessione che mi facevo io quando stavo a Firenze (dopo 6 anni), sognando un posto più vivace e dinamico, dove “percepire il futuro” (Milano).

Alla fine, tanto “altro spirito”, tanto futuro, a Milano si sente per davvero. Se si sceglie, però, di farne parte. Se ci si mette di impegno, per farne parte (tutto, a Milano, è possibile, ma tutto, a Milano, è più complesso).

In questi giorni in cui festeggio il mio primo anno di vita milanese, mi faccio ancora domande. Ho una vita “aperta”, mi viene da pensare. In divenire. Sono forse alla ricerca di nuove radici?

A un certo punto, nel romanzo di Montanari, Sofia, l’innamorata del libraio, esce nel cuore della notte, e lo incontra, per caso, a Rialto. “Avevo voglia di stare un poco con Venezia, volevo farci la pace”, gli confida.

Milano, sto tornando: ho voglia di fare la pace, con te, anch’io (fino al prossimo giro?).

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